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Il governo del socialista George Papandreou arriva al potere in Grecia per scoprire che la precedente amministrazione di centro-destra ha falsificato i conti del Paese. Le finanze elleniche sono in condizioni critiche e il Paese è vicinissimo al crack
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Il tabù del piano di salvataggio è infranto. I ministri dell’Euro-zona accordano alla Grecia 110 miliardi di euro. Il 7 maggio un altro summit straordinario getta le basi perché i ministri delle finanze mettano insieme il primo fondo di salvataggio europeo.
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Il fondo di salvataggio diventa il Fondo europeo di stabilità finanziaria, con sede in Lussemburgo. Con gli aiuti di Fmi e Commissione Ue la dotazione anti crisi è di 750 miliardi di euro. Si torna anche a parlare di eurobond o di emissioni congiunte di debito per l’Ue
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Dopo Atene crolla anche Dublino. Pur nel tentativo di resistere mentre le sue banche vanno gambe all’aria, l’Irlanda diventa il secondo paese oggetto di salvataggio. Il Governo è costretto a prendere 85 miliardi di euro per evitare il default.
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La crisi continua a destabilizzare gli esecutivi europei. Il governo di centro-sinistra del Portogallo è caduto da un mese e il Paese diventa il terzo stato membro Ue a dover chiedere aiuto: 78 miliardi di euro finanziano il salvataggio.
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Altro summit, altro salvataggio. Gli aiuti alla Grecia non sono bastati a risanare i conti. Il dosaggio viene massicciamente aumentato, raggiungendo l’accordo per altri 120 miliardi di euro da destinare ad Atene, ma in Europa si respira pessimismo.
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Si decide un nuovo piano di salvataggio per la Grecia da 109 miliardi. Inoltre, viene riorganizzato il fondo di emergenza per renderlo strumento più flessibile e capace di intervenire in via preventiva. Le prospettive, però, sono di crollo dell’Euro.
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Lo spread con i Bund tedeschi raggiunge la cifra record di 575 punti. La situazione è insostenibile: tre giorni dopo Silvio Berlusconi rassegna le proprie dimissioni. L’indomani Giorgio Napolitano affida a Mario Monti l’incarico di formare un nuovo governo.
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Nella riunione di Copenaghen, l’Eurogruppo decide di accorpare i fondi di salvataggio esistenti, il Mes e il Fesf. La dotazione della nuova cortina protettiva è di 7-800 miliardi. Molte le rivendicazioni, ma il summit non approva soluzioni definitive.
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Francois Hollande vince le elezioni in Francia. Il 24 maggio, nel corso del suo primo summit, le divergenze con la Germania sulla politica da attuare per salvare l’euro sono evidenti. La linea comune di Francia, Italia e Spagna crea seri problemi alla Merkel.
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Un nuovo summit dispone che le banche spagnole siano salvate direttamente, senza passare dal governo di Madrid come chiedeva Berlino. L’unico risultato ottenuto dalla cancelliera è il meccanismo unico di vigilanza bancaria che sarà gestito dalla Bce.
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Dall’Eurotower Draghi promette l’acquisto illimitato di obbligazioni da uno a tre anni sui mercati secondari. L’obiettivo è quello di ammortizzare i costi di prestito per Italia e Spagna. La decisione viene presa nonostante il “nein” della Bundesbank.
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Al vertice di Bruxelles sull’unione fiscale si consuma la rottura tra la Germania e la Gran Bretagna. Cameron mette il veto sulle misure draconiane volute dalla Merkel. I 17 dell’Eurozona, più altri 6 volenterosi, tirano dritto e firmano l’accordo senza Uk e Rep. Ceca.
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Dopo un’estate promettente, torna la tensione. Rajoy tenta di ottenere il salvataggio ma rifiuta le condizioni impostegli e la Merkel arretra sulle concessioni di giugno. Entro fine anno anche Cipro e la Slovenia potrebbero dover ricorrere al salvataggio d’emergenza