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Il mito racconta che le sirene Parthenope, Ligeia e Leucosia, non essendo riuscite ad ammaliare Ulisse con la loro voce, decisero di suicidarsi gettandosi dalla scogliera più alta e la prima venne trascinata dalle onde del mare fino alle coste campane. Di lì il suo corpo si disperse dando vita alla fisionomia di quella che sarebbe stata chiamata da quel momento “La città partenopea“, la Napoli odierna.
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Omero non descrive l’aspetto di questi esseri perché presuppone sia ben noto grazie ad una favola più antica, quella della spedizione degli Argonauti, una delle più affascinanti del mito greco. Inoltre, le sirene omeriche non hanno nulla di erotico, ma promettono un canto che provoca godimento e arricchimento di conoscenza anche se a discapito della vita.
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Il coro sollecita la protagonista a invocare le sirene, che vivono nell’Ade, per intonare il canto funebre in seguito alle gravi perdite causate dalla guerra di Troia.
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Opera che apre la strada al genere delle enciclopedie dove appaiono dettagli cruenti di come le sirene divorassero i malcapitati marinai.
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Nell'opera redatta tra II e III sec. d.C. gli animali sono interpretati soprattutto in chiave cristiana (allegorie morali). Il testo considera alla pari animali reali e fantastici, tutti concorrono a popolare il grande mondo di Dio, alcuni rivestono significati positivi altri sono espressione di forze del male. Tra questi, la nostra protagonista che viene descritta con forma umana fino all’ombelico e, per la restante metà, con l’aspetto di un’oca.
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“Vivono nel mare e cantano con voci armoniose attirando nelle acque i naviganti che, tra i flutti, trovano la morte; esse hanno forma umana fino all’ombelico e, per la restante metà, hanno l’aspetto di un’oca; ad esse, come agli ippocentauri, somigliano gli uomini indecisi, incostanti, che ingannano con parole dolci e suadenti e corrompono i buoni costumi con cattive conversazioni”.
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Nella traduzione dall'ebraico al greco avvenuta ad Alessandria d'Egitto grazie ai leggendari Settanta, per indicare gli sciacalli, che gli ebrei chiamavano tannîm, venne adottata la parola greca σειρήνες (seirénes). Si è detto: forse per l’assonanza del nome o per l’associazione del canto delle sirene con l’ululato di questi animali. Isaia 13:22 "vi risponderanno i gufi nei suoi palazzi, e le sirene nelle case del piacere"
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San Girolamo interpretò le sirene come demoni che con il loro canto
puniscono e uccidono gli uomini o come immagine degli eretici. -
È sant’Ambrogio il primo tra i Padri latini ad analizzare in maniera approfondita l’episodio delle sirene omeriche. Queste creature diventano ‘immagini’ della Lussuria. L’interpretazione è anche di altri scrittori e religiosi del Cristianesimo delle origini, si ricorda Clemente Alessandrino che considera l’isola delle sirene come isola del male. Ippolito di Roma paragona le sirene di Ulisse agli eretici, che impartiscono i falsi insegnamenti e tentano di conquistare fedeli.
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Nel Libro XII De animalibus Isidoro descrive le sirene come per metà donne e per metà uccello, hanno “alas et ungulas”, cioè ali e artigli, e sono in numero di tre: una canta, una suona il flauto e l’altra la cetra con l’obiettivo di condurre i marinai alla rovina.
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Le sirene sono fanciulle marine che ingannano i naviganti con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo fino all'ombelico hanno corpo di vergine e sono in tutto
simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi» -
Si tratta di una sorta di bestiario, un trattato di litografia e una raccolta di mirabilia. E’ costituito da una serie di capitoli ciascuno dedicato a un essere mostruoso. Quindi l'Alto medioevo segna la svolta: la rappresentazione della sirena in termini di donna-pesce è stabilita per la prima volta. Il motivo più condiviso risiederebbe in un errore di trascrizione, dovuto ad un amanuense, che scrisse «pinnae» al posto di «pennae», in un testo al quale il Liber monstrorum si rifece.
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Bestiario scritto in francese (1120) dal monaco (Normandia) che descrive le sirene nel XV capitolo con grossi piedi da pollo e con un fondoschiena a coda di pesce, a testimonianza della circolazione di entrambe le versioni.
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Dal Duecento in poi la sirena-pesce prevale in maniera quasi definitiva. Nel mare delle tentazioni si è ormai stabilmente insediata la temibile seduttrice dell’antichità classica. La sirena è uno dei simboli del Maligno e soprattutto delle sue incarnazioni connesse alla sessualità e al corpo femminile.
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Assenza della componente religiosa.
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Secondo gli autori antichi esistevano tre tipi di sirene. Le si immaginava con il corpo metà donzella e metà pesce, dotate di ali e unghie e cantavano in maniera straordinaria... Con il loro canto attraevano i navigatori, affascinati, che erano destinati al naufragio. Ciò che si sa per certo è che le sirene erano meretrici che portavano alla rovina i passanti, perciò questi si vedevano obbligati a simulare che avevano naufragato.
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I racconti dicono che avevano ali e unghie perché l’amore vola e produce ferite, e che vivevano fra le onde proprio perché furono le onde a creare Venere mentre la lussuria nacque dalla umidità.
D’altra parte in Arabia esistono serpenti provvisti di ali e chiamati sirene, i quali sono superiori ai cavalli in corsa e, a quanto dicono, volano persino. Il loro veleno è così potente che la morte sopraggiunge ancor prima di sentire il dolore della morsicatura. -
La favola attua una vera e propria rivoluzione scrivendo di queste creature dalla loro prospettiva. Il mito viene così sovvertito ed il lettore è spinto per la prima volta ad immedesimarsi con le sirene, non più viste come delle tentatrici simbolo del demoniaco cosi come la Chiesa le aveva descritte per secoli.