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L'esigenza di un maggior controllo sui territori coloniali indusse l'Inghilterra a scoraggiare ulteriori insediamenti. La Line Proclamation stabiliva come limite dell'area colonizzabile i monti Appalachi.
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In seguito alla necessità di risanare il bilancio statale minato dalle spese di guerra e di mantenimento di un esercito di 10000 uomini in territorio americano, il Parlamento inglese emanò nuovi provvedimenti fiscali che causarono malcontento nelle tredici colonie. Due gli episodi più discussi: nel 1764, lo Sugar Act, che stabiliva il dazio sull'importazione di zuccchero, e l'anno successsivo lo Stamp Act, legge sul bollo, che imponeva l'affisione di marche da bollo su atti pubblici.
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Nel 1773, il Parlamento inglese approvò il Tea Act che affidava alla Compagnia delle Indie il monopolio della vendita del tè nelle colonie. Questo portò molto malcontento tra i coloni che reagirono buttando un carico di tè in mare. Questo evento viene ricordato come Boston Tea Party ed è considerato l'inizio della ribellione.
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Il 4 luglio 1776, il terzo Congresso continentale approvòl a Dichiarazione d'indipendenza redatta da Thomas Jefferson. Il documento si apriva con un preambolo di chiara ispirazione illuministica, proseguendo con la costituzione delle colonie negli Stati Uniti d'America.
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Le sorti del conflitto tra la madrepatria Inghilterra e i coloni erano ormai segnate. Infatti dopo Saratoga, i coloni ottenero una vittoria decisiva a Yorktown il 19 ottobre 1781.
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I colloqui di pace si svolsero a Versailles e si conclusero il 3 settembre 1783 con un trattato, firmato da spagnoli, olandesi, francesi, inglesi e americani, che dichiarava l'indipendenza dello Stato americano.
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Le prime elezioni del febbraio del 1789 assegnarono a Geroge Washington la presidenza degli Stati Uniti. La carica del vicepresidente spettò a John Adams, mentre Jefferson fu nominato segretario di Stato. Il segretario al Tesoro, Hamilton, costituì nel 1791 una Banca centrale degli Stati Uniti.